Una Chiesa che ha il sapore della Casa

Una Casa che ha il profumo della Chiesa

Orientamento pastorale

Una chiesa povera e sinodale

Anno pastorale 2020 - 2021

Carissimi amici

Permettetemi di rivolgervi questa lettera/messaggio a modo di sintesi del lavoro svolto finora per gli orientamenti pastorali validi per quest’anno per la nostra comunità parrocchiale.

Consapevole delle mie fragilità e limiti, chiedo allo Spirito Santo di assistermi sempre e di suggerirmi parole profetiche affinché la nostra comunità parrocchiale sia segno tangibile dell’amore di Dio. Il nostro Arcivescovo, nella solennità di San Nicola il Pellegrino, 02/06/2020, ci ha consegnato gli orientamenti pastorali validi per il triennio 2020/2023 dal tema “una Chiesa che ha il sapore della casa, una casa che ha il profumo della Chiesa”.

 

In questi orientamenti, egli evidenzia tre urgenze:

1 – sentirsi e vivere come popolo di Dio (cf. libro sinodale, cap.1);

2 – porre maggiore attenzione alla pastorale delle famiglie e alla pastorale dei giovani (cf. libro sinodale, nn. 51-52);

3 – passare dall’assistenzialismo all’opzione preferenziale per i poveri (cf. libro sinodale, nn. 356-359).

Come Parrocchia siamo chiamati anche in quest’anno pastorale ad

approfondire la terza urgenza di questa scaletta.

Già l’anno pastorale scorso abbiamo lavorato sulla Parrocchia, Chiesa che vive tra le case degli uomini e vedo una continuità pastorale con ciò che abbiamo vissuto sin ora.

L’icona biblica che ci accompagnerà in questi anni è At 2,42-47:

 

42 Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. 43 Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44 Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46 Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, 47 lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.

 

Voglio ancora una volta sottolineare l’idea della Chiesa come casa. Sogno sempre di più che la nostra comunità parrocchiale abbia il sapore della casa e sia per ciascuno di noi luogo-tempio in cui facciamo esperienza di famiglia, di relazioni buone, di ascolto, di rispetto, di accoglienza, di affetto, insomma dove tutti possano trovare nella nostra comunità la propria casa!

     Dobbiamo sempre di più sentirci “un solo corpo”, perché ciò che ci permette questo sono relazioni buone, comunione, ascolto, incontro, misericordia: nessuno deve sentirsi escluso.

I molti spazi che abbiamo devono poter essere spazi da abitare per tutti. Tante stanze dove è possibile, perché lo desideriamo, incontrarci e stare insieme come i primi cristiani i quali “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.” (At2,42); ovvero “con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia.” (At 4,33).

A questo punto chiediamoci: ci sentiamo e viviamo come membri di una stessa famiglia che profuma di Chiesa, persone che abitano nella stessa casa?

L’Arcivescovo sottolinea che: ciò che distrugge questa immagine di chiesa/parrocchia e l’individualismo pastorale dove ognuno pensa al suo orticello, disinteressandosi delle altre realtà presenti in parrocchia. I Carismi, i doni presenti tra noi sono al servizio dell’intera comunità parrocchiale, chiedo a tutti di dare il vostro contributo affinché siano superate le disarmonie generate non solo dei limiti personali, ma soprattutto dalla mancanza di riferimento al cammino, agli obiettivi, alle necessità della nostra comunità parrocchiale. Tutto questo il nostro arcivescovo lo definisce “senso ecclesiale” desiderio di “sentire con la chiesa diocesana”.

Il Carisma “più grande” dello Spirito Santo: la Carità, esso genera comunione. Non dobbiamo mai dimenticare che l’unico scopo deve essere l’evangelizzare!

 

Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. (Lc 10,3-9)

 

Desidero che i gruppi e/o realtà presenti nella nostra parrocchia vivono in quest’anno pastorale il desiderio di incontrarsi, comunicare, condividere, conoscersi maggiormente e scrollarsi di dosso i luoghi comuni o i pregiudizi reciproci, convergendo sulle priorità pastorali della comunità parrocchiale e quindi della diocesi.

Per dire che riconosciamo Gesù come il Signore della nostra vita è necessario che tra di noi ci sia comunione. Saremo sempre più presenza del Signore nel nostro territorio se saremo Uomini e Donne di comunione. Ciò che ostacola la comunione e la danneggia sono: individualismo, l’isolamento critica e discredito verso gli altri, rigidità che diventa rinuncia l’accoglienza o al perdono.

Comunione è sinodalità per essere parrocchia che ha il sapore della casa e casa che ha il profumo della chiesa; Insomma una parrocchia che insieme Prega, discerne, agisce.

Condividiamo i nostri Talenti, i diversi Carismi piuttosto che sfoggiare lì autonomamente dimenticando che si è parte di una famiglia grande: la parrocchia/diocesi. Mettiamo i nostri Carismi a servizio di tutti in un progetto comune: c’è un principio guida importante “ciò che riguarda tutti, deve essere risolto da tutti”.

Tre sono le comunioni che il nostro vescovo ci consegna:

la prima “comunione con Dio” passa per il prossimo, soprattutto povero: 44 Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45 chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. (At 2,44-45);

la seconda “comunione con Dio” alla radice nella parola trasmessa nella chiesa e che va riportata sempre al centro della catechesi in particolare per le famiglie i giovani: “perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli”

la terza “comunione con Dio” è quella che rappresenta “il culmine la fonte” della vita del popolo di Dio, ovvero la liturgia.

Questi sono i tre passi da compiere nei prossimi anni. Quest’anno ci concentreremo sulla chiesa Povera per i poveri: comunione con il fratello/sorella.

 

Chiesa povera per i poveri

 

Per essere sempre di più la chiesa di Gesù Cristo dobbiamo sempre di più imparare a condividere gioie e speranze di ogni fratello e sorella. Mai Gesù si è chiuso alle necessità e alle sofferenze dei fratelli, la parola di Dio ce l’ho dimostra sempre vicino alle situazioni difficili e di sofferenza!

Monsignor d’Ascenzo nei suoi orientamenti ci chiede di porci le seguenti domande:

Qual è il senso della pandemia da coronavirus che ha travolto come un diluvio il mondo intero seminando dolore, morte povertà?

Qual è l’appello che sale dal cuore ferito dell’umanità e raggiunge ciascuno di noi? Come potremmo trasformare il nostro tempo in opportunità?

Tante famiglie vivono in uno stato di permanente emergenza, costante necessità. Sono aumentate le famiglie che bussano alla porta della nostra Caritas, come comunità non possiamo assolutamente essere indifferenti di fronte alle povertà che si presentano, di fronte a situazioni precarie e a nuove forme di povertà che si stanno affacciando.

È importante operare per il bene degli altri, ciò che necessità è esserci e darsi e dare la propria vita, insomma dobbiamo prenderci cura dei più fragili, bisognosi, malati; questo in fondo è l’essenziale del Vangelo: siamo chiamati ad essere buoni Samaritani. Poniamoci la seguente domanda: sentiamo il desiderio di renderci disponibili a collaborare, a dare il nostro sincero contributo a servizio della nostra città, della nostra gente, soprattutto ai più piccoli, poveri, fragili, favorendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di Giustizia, di pace, convinti che la comunione con Dio si giochi attraverso il rapporto con i fratelli o sorelle?

Il nostro modello di servizio è Gesù, servire come Gesù non possiamo non fare riferimento alla pagina biblica di Matteo 25,35-36. 40-45. Facciamoci un vero e proprio esame di coscienza.

Impariamo sempre di più ad essere accoglienti verso tutti soprattutto verso i più deboli, disagiati, ripensiamo alle relazioni con i fratelli e sorelle indigenti che non si esauriscono nella consegna dei beni materiali essi sono capaci di donarci beni immateriali.

Per fare tutto ciò è anche necessario un percorso di formazione.

Facciamo in modo che ci sia in ogni nostro condominio qualcuno qualche famiglia che sappia favorire l’intercettazione di queste situazioni e sollecitare la comunità parrocchiale alla presa in carico per un efficace soluzione.

Dio vuole da noi la comunione” che il frutto di un amore vicendevole, umile disinteressato e gioioso.

Tre sono le parole chiavi di quest’anno pastorale

riconoscere

interpretare

scegliere

Cristo si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr 2cor 8,9).

In ogni epoca e in ogni luogo, Dio continua a salvare gli uomini è il mondo mediante la povertà di Cristo, il quale si fa povero nei sacramenti, nella parola e nella chiesa, popolo di poveri. La ricchezza di Dio non può passare attraverso la nostra ricchezza ma sempre soltanto attraverso la nostra povertà, personale e comunitaria, animata dallo spirito di Cristo.

Rimane sempre attuale quanto diceva Paolo VI, il papà del Concilio, nell’udienza generale del 24 giugno 1972: “accettiamo l’istanza uomini d’oggi, quelli che guardano la chiesa dal di fuori, fanno Finché la chiesa si manifesti Quale deve essere, non certo una potenza economica, non rivestita di apparenze agiate, non dedita speculazioni finanziarie, insensibile ai bisogni delle persone […].Noi notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella conquista, nel possesso , nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare maggiormente la dov’è il Vangelo è predicato, è rappresentato.

Questa lettera viene ad essere strumento affinché quel sogno possa diventare segno attraverso scelte concrete che mettono realmente al centro la povertà come stile di vita personale e comunitario.

 

Una Chiesa povera e Sinodale

 

Alla base della stesura di questa lettera e la realizzazione di quella chiesa libera, povera, che non ha paura di percorrere le strade difficili e strette, che sa gioire e condividere, che sa commuoversi e meravigliarsi davanti alle opere che Dio realizza nel nostro quotidiano.

Una chiesa in uscita, samaritana. Uno stile evangelicamente povero è un’esigenza dettata dai tempi che viviamo: da una parte un mondo ricco, indifferente e autoreferenziale, in cui vigono in modo stringente e schiavizzante le leggi del mercato e della finanza e dall’altro gli ultimi, gli impoveriti, gli emarginati, costrette a vivere da dimenticati. La Chiesa è chiamata ad essere strumento di misericordia è segno di profezia liberandosi da ogni sorta di compromesso.

Una Chiesa povera e anche libera e, per essere libera, deve essere povera.

Una chiesa che educhi alla povertà come scelta e che mostri Libertà sul denaro diventa così un forte annuncio evangelico e insieme una provocazione per riscoprire l’Essenziale nella nostra vita.

Nell’ approcciarsi a questo tema ci è di grande aiuto la Sacra Scrittura. Molteplici sono, infatti, passi che richiamano ad una scelta di povertà. E, il primo testimone è stato proprio Gesù. Lui, che per noi da ricco che era si è fatto povero (2 Cor 8,19), visse la povertà, prima ancora di annunciarla a noi. Basti pensare alla sua incarnazione nel seno della Vergine Maria, al presepe, alla scelta di Nazareth, al suo stare con la gente senza un luogo dove posare il capo (Lc 9,58), al suo morire solo e nudo sulla croce.

Con chiarezza, egli ci ha insegnato che saggio è chi confida in Lui e arricchisce davanti a Dio, accumulando un tesoro inesauribile, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dov’è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore (cfr Lc 12,20.33-34).

Solo fissando il nostro sguardo su Cristo riusciremo a trovare la vera perla preziosa che fa ricca la nostra vita.

Una chiesa vicino ai poveri è una Chiesa che dimostra la sua fede ancor prima della sua carità. È una chiesa che sa leggere l’autenticità della presenza del suo Signore. Essa ha infatti una sua vita economica, poiché opera servizio dell’uomo, ma i beni che possiede devono avere sempre una Triplice finalità:

il culto, le chiese e le opere di apostolato;

sostentamento dei presbiteri;

i poveri, con le opere di carità.

 

Dalla lettura degli Atti degli Apostoli emerge l’immagine di una Chiesa che non tiene nulla per sé ma vive la povertà evangelica attraverso la condivisione dei beni per realizzare la reale comunione. Nel raccontare la prima comunità di cristiani, ci viene detto che “avevano un cuor solo e un’anima sola” è che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune”.

La libertà del cuore, intesa come distacco dai beni terreni, la condivisione di tutto quanto si ha a disposizione e l’utilizzo dei beni secondo le necessità di ciascuno sono gli atteggiamenti con cui la Chiesa delle origini rifiuta la ricchezza fine a se stessa e si fa grembo materno di fraternità e mensa per ciascuno. Solo così la fede si fa vita e diventa profezia di speranza. Certo, non mancavano anche allora fatiche sotterfugi perché la Chiesa è fatta di uomini e vive perciò in continua tensione tra bene e male; ma proprio questo dice a tutti la necessità di vigilare sempre e radicare in Lui ogni nostra scelta.

 

La Vita della nostra Comunità

 

Mai dobbiamo dimenticare che non bastano le opere di carità se manca la carità delle opere.

Da una parte, va denunciata la “disumana ricchezza” che mette le cose al posto di Dio e che diventa così idolatria, impedisce di aiutare il prossimo, chiude nell’egoismo e, fissando l’attenzione sui vantaggi immediati, rimuove il pensiero della vita futura.

Ma, accanto a questo, dobbiamo suscitare nella nostra comunità una spiritualità della vita economica caratterizzata da sobrietà, disponibilità condividere beni, serietà e competenza nel proprio lavoro, mettendo sempre al primo posto la dignità della persona.

La povertà e i poveri fanno parte dell’essenza e dell’identità della Chiesa.

trovino sempre ascolto nel cuore della nostra comunità e il loro grido si tramuti in azione concreta di lotta per la giustizia. Credo che siano proprio loro, i poveri che ci restituiscono la fede, cioè il cuore della Chiesa.

Sogno una chiesa che cammina al passo di ogni uomo, dove nessuno è ultimo ma ognuno è prossimo e si ferma solo per aspettare chi e rimasto più indietro; dove ogni passo è percorso seguendo tre frecce direzionali: la partecipazione, la gratuità e la trasparenza.

     La chiesa non è soltanto del parroco o dei suoi collaboratori più stretti ma di tutti e ognuno deve sentire la necessità di concorrere alla sua cura umana, materiale e spirituale.

San Giuseppe Moscati, soleva dire: “Chi ha metta, chi non sa prenda.” facciamo nostro questo motto Perché la nostra carità sia generosa, intelligente ed organizzata: che si basa sulla fiducia reciproca e sulla fiducia nella provvidenza; nasce dal discernimento sulle necessità e sappia fare un saggio uso delle ricchezze; che non sia limitata a gesti individuali ma sia frutto di una progettualità comunitaria.

Anzitutto bisogna partire dalla povertà del cuore. La povertà evangelica, infatti, non chiede un disprezzo assoluto del denaro e di beni materiali, ma uno sguardo illuminato su di essi ed uno stile di comportamento.

Sono certo che tutto quanto qui riportato troverà un cuore pronto e disponibile all’attuazione.

Il denaro è un grande mezzo per fare il bene ma, usato male, può diventare un grande strumento di iniquità.

Non siamo chiamati semplicemente a rendere conto a Dio dei suoi Doni: ci sono dati perché diventino seme di altri doni, perché diventino sorgente di vita per noi e per tutto ciò che ci è affidato.

È questa la strada che ci aspetta: vivere con disponibilità questo tempo tra noi e con il Signore. È una grande opportunità di crescita umana e spirituale. È, oltre ogni attesa, una domanda di conversione, un ulteriore dono di Dio. La via è sempre via di conversione. Dono e responsabilità. Siamo Chiesa in cammino che matura grazie alla risposta di ciascuno, gratuita e sincera.

Ci impegna fino in fondo il “come” della nostra concreta responsabilità, di tutti e di ciascuno.